Serie A – Lo splendore, gli scandali, l’esclusione mondiale e il calcio italiano dei giorni nostri
Riflessioni dopo la lettura del libro di Marco Bellinazzo “La fine del calcio italiano – Perché siamo fuori dal mondiale e come possiamo tornarci da protagonisti” edito da Feltrinelli
Ce n’è per tutti. Marco Bellinazzo non risparmia nessuno in questo magnifico libro-fotografia. Dalla grandeur di fine secolo alla decadenza di quello che, a partire dal mundial spagnolo e fino ai primi anni Duemila, era il calcio più seguito e ammirato al mondo: la nostra Serie A.
La cronistoria di Bellinazzo, già giornalista del Sole 24 Ore, parte dagli anni Ottanta con i presidenti-mecenati – gli stessi che regalavano alle loro piazze straordinari fuoriclasse – fino alla crisi finanziario-sportiva che ci ha visti superati da Premier League, Liga e persino dalla Bundesliga, oggi campionati più ricchi e gli unici, a parte l’eccezione Juventus, in grado di acquistare i migliori calciatori sulla piazza.
Le ragioni di questo tracollo sono plurime e vanno dalla mancanza di programmazione alla gestione scriteriata del patrimonio tecnico ed economico, le ingerenze della politica e del malaffare, senza contare il deperimento strutturale che ci portiamo dietro da Italia ʹ90 (un’opera di sciacallaggio senza precedenti per la gestione allegra di soldi pubblici) e ci ha lasciato in dote impianti fatiscenti. Nessuna sorpresa, dunque, se gli stadi sono per lo più vuoti e non ci fa alzare un sopracciglio la prospettiva per i prossimi mesi di assistere a partite senza pubblico: il giocattolo televisivo deve ripartire. Costi quel che costi.
UN’EPOCA DI SCANDALI SENZA FINE
Partendo dalle vittime dei tafferugli – come dimenticarsi di Filippo Raciti, Gabriele Sandri e Ciro Esposito – o il susseguirsi di scandali finanziari che a partire dalla fine dell’ultimo decennio del secolo scorso hanno travolto Lazio, Parma, Fiorentina e Napoli, solo per citare le più importanti, con le ultime tre dichiarate fallite in tribunale nel giro di un decennio. Persino i rispettivi presidenti, per ragioni diverse, sono finiti in manette. Basti pensare a Cragnotti, che verrà ricordato dai laziali per il secondo scudetto, la Coppa delle Coppe (la Lazio vinse l’ultima finale disputata della competizione) e il crack Cirio.
A Tanzi, che ha legato il suo nome all’epoca più scintillante della compagine gialloblù per poi lasciarla affogare nei debiti della sua Parmalat. Era sempre lui l’uomo-ombra alle spalle di Giambattista Pastorello e all’Hellas Verona, emblematico caso di doppia proprietà occulta nella massima serie. A Vittorio Cecchi Gori, arrestato più volte per riciclaggio e banca rotta fraudolenta.
A Corbelli, finito in manette per associazione a delinquere, ricettazione e truffa e che ha lasciato i tifosi partenopei a un passo dal baratro del fallimento, poi avvenuto nell’estate del 2004, e che ha costretto gli azzurri a ripartire dal purgatorio della Serie C.
Ma queste deprecabili pagine del pallone nostrano sono solo l’antefatto al clamoroso caso dei passaporti falsi e a quella che poi si sarebbe rivelata la madre di tutti gli scandali: calciopoli, il momento più nero della storia calcistica italiana (l’altro, a livello sportivo, è conciso con l’esclusione ai mondiali di Russia nel 2018). Sfociata in un tourbillon di inchieste giudiziarie che ha toccato le più alte istituzioni e i poteri che controllavano il “giocattolo-pallone”, ha visto come protagonista assoluto l’uomo che in quegli anni esercitava più potere di tutti sulla scena pallonara del Belpaese, il potentissimo deus ex-machina della Gea: Luciano Moggi, “punta” della famosa triade juventina composta da Antonio Giraudo (coinvolto anche lui dall’inchiesta) e Roberto Bettega. A finire sotto la lente d’ingrandimento degli inquirenti anche i designatori degli arbitri dell’epoca, Paolo Bergamo e Pierluigi Pairetto. Quella torrida estate del 2006 portò a tre risultati tanto clamorosi quanto opposti: la retrocessione in Serie B con penalizzazione (ridotta due volte) della Juventus, l’assegnazione dello scudetto all’Inter, giunta terza in quel campionato (dietro al Milan, anch’esso penalizzato in termini di punti) e la conquista in Germania del quarto titolo mondiale da parte della nazionale italiana guidata da Marcello Lippi.
Ad anni di distanza della vicenda, tutto ciò che rimane è una sequela di prescrizioni, processi da rifare o con pene minime e l’amara sensazione che tanta polvere (e tanti nomi) siano rimasti nascosti sotto il tappeto. Per ragioni diverse, dunque, non si è scavato fino in fondo nei mali del calcio italiano.
Sulla falsariga di calciopoli è seguito il de profundis del calcio scommesse con il coinvolgimento diretto di alcuni giocatori di spicco, che agivano per alterare i risultati delle partite per conto di un’associazione a delinquere di respiro internazionale. Poi, sono giunte le guerre sui diritti televisivi e le operazioni di maquillage finanziario derivanti dalle plusvalenze, un trucco contabile tuttora in voga che droga i bilanci delle società. Finita qui? Neanche per sogno: le infiltrazioni malavitose nelle curve hanno suscitato clamore e indignazione in tutta Europa. Insomma, non ci siamo fatti mancare proprio nulla…
PARLANO I RISULTATI
In 25 anni, dal 1982 al 2007, il calcio italiano a livello di nazionali è riuscito a portare a casa due mondiali, più un secondo e un terzo posto nella rassegna iridata, ai quali va aggiunto un altro argento agli europei del 2000, con la sciagurata finale persa contro la Francia ai supplementari a causa del golden gol di Trezeguet. Per quanto riguarda i club, invece, possiamo vantare 7 coppe dei Campioni/Champions League (5 del Milan, 2 della Juventus), 8 coppe Uefa (nel 1999, l’ultima affermazione è del Parma), 4 coppe delle Coppe, 8 supercoppe Uefa, 4 coppe Intercontinentali e 1 mondiale per club, senza contare le numerose finali perse. Un bottino di tutto rispetto.
Dal 2007 ad oggi, la musica è cambiata radicalmente. A parte il triplete dell’Inter nel 2010, infatti, registriamo un argento agli europei del 2012 con l’Italia seppellita per 4-0 dalla Spagna campione di tutto, che ha approfittato al massimo del crollo psicofisico degli azzurri, più 2 esclusioni ai gironi eliminatori ai mondiali del 2010 e del 2014 e l’onta gravissima della mancata qualificazione del 2018, un vero “capolavoro” firmato Giampiero Ventura e Carlo “Optì Pobà” Tavecchio, che ha messo alla guida della nazionale un allenatore con un pedigree non all’altezza del ruolo.
A questi risultati di certo non esaltanti, aggiungiamo un paio di finali di Champions perse in maniera netta dalla Juventus contro Barcellona e Real Madrid nonché la completa nullità dei club nostrani in Europa League.
Segnali chiari di quanto il calcio italiano si trovi a distanza siderale da quello inglese, spagnolo e tedesco, che possono contare su stadi nuovi e funzionali, regole che stroncano sul nascere ogni forma di violenza e razzismo sia fuori che all’interno degli impianti sportivi e la pioggia di soldi garantita da sponsorizzazioni, merchandising e vendita dei diritti televisivi; tutto ciò coadiuvato dalla straordinaria spettacolarità delle partite. L’avvenuto surclassamento da parte dei nostri “competitor” si spiega con la maggiore lungimiranza organizzativa e nell’aver puntato con decisione sui vivai (la Germania ha fatto scuola) e sugli investimenti nel patrimonio infrastrutturale.
Non a caso, la società più vincente e potente in Italia è la Juventus che, aldilà delle ingenti risorse finanziarie della Exor, può contare su un’organizzazione di altissimo livello e su uno stadio di proprietà. Dietro la Vecchia Signora c’è il vuoto sia in termini di risultati sportivi che di bilancio.
SERIE A AL TEMPO DEL CORONAVIRUS
Non sorprende, dunque, che l’alta litigiosità, gli interessi di parte e l’atteggiamento surreale della Lega nel rifiuto di agire in maniera sinergica siano finiti per l’ennesima volta sotto i riflettori anche durante l’attuale emergenza dettata dalla pandemia. Mentre non sappiamo ancora se il 18 maggio gli allenamenti delle squadre di Serie A saranno in grado di ripartire o meno, infuriano le polemiche tra il presidente del Coni Giovanni Malagò e quello della Figc, Gabriele Gravina, con il primo che vorrebbe annullare la stagione mentre l’altro si affretta a sottolineare la differenza di “peso specifico” tra il calcio e tutti gli altri sport che si sono dovuti fermare. Come se ciò non bastasse, l’assocalciatori alza le barricate gridando alla discriminazione perché i giocatori sarebbero costretti a scendere in campo e il ministro dello sport Spadafora smentisce il presidente del consiglio Conte sulle modalità di ripartenza del campionato. In pratica, ognun per sé e Dio per tutti. Che meraviglia!
DA DOVE PUÒ PARTIRE LA RINASCITA?
Se non tutto il male viene per nuocere, allora è il caso di ritrovare la speranza annoverando alcuni esempi virtuosi come lo straordinario exploit dell’Atalanta con lo storico approdo ai quarti di finale di Champions League ai danni del Valencia e la sua meritata nomea di inesauribile fucina di talenti.
E, ancora, la favola al momento interrotta del Benevento, primo in Serie B con oltre 20 punti di distacco sulla seconda, lo splendido stadio dell’Udinese, altro esempio virtuoso di gestione tecnico-finanziaria, la solidità economica del Napoli di De Laurentiis – al quale va rimproverata la ritrosia a investire nelle infrastrutture –, che ha avuto il grande merito di aver riportato la compagine partenopea in pianta stabile ai vertici del campionato e il miracolo sportivo della Lazio, che sta contendendo lo scudetto alla potentissima Juventus di Cristiano Ronaldo.
Ma, soprattutto, un plauso speciale va a tutte quelle realtà medio-piccole, che pur lontane dalla ribalta mediatica, fanno in modo che lo sport prevalga sulle logiche affaristiche: senza passione e dedizione al lavoro, non può esserci un domani.
Dulcis in fundo, la piccola grande impresa di Roberto Mancini, che da CT della nazionale ha saputo ricostruire dalle macerie lasciate da Ventura, ridando entusiasmo all’ambiente e puntando sui giovani nonché su un calcio scintillante, che ha fruttato alla nazionale italiana il record di 11 vittorie consecutive di fila e la qualificazione con largo anticipo alle fasi finali dell’europeo, ora rimandato al 2021 al pari delle prossime Olimpiadi giapponesi.
In conclusione, il libro di Bellinazzo funge da vero e proprio vademecum sugli ultimi 30-35 anni e sull’attuale stato di salute del nostro calcio. Un must have assoluto per chi ama il pallone aldilà delle bandiere e cerca risposte a tanti perché.
VOTO: 10 e lode.
Una risposta.
Non ho letto il libro, ma le riflessioni fatte hanno sintitizzato in una maniera lucida e obiettiva la storia del calcio nell’ultimo trentennio. La lode va anche a te per il commento.
P.S.: grazie a te anch’io leggerò il libro per la modalità con cui lo hai presentato.