Re T’Challa/Black Panther: recensione della pellicola più “politica” della Marvel

Re T’Challa/Black Panther: recensione della pellicola più “politica” della Marvel

Come il film Black Panther interpretato dal compianto Chadwick Boseman ha sovvertito la “geopolitica” del supereroismo USA

di Rocco Leo

Non è un caso se a omaggiare l’ultimo post sul profilo Twitter di Chadwick Boseman, 43enne attore scomparso per un cancro al colon e protagonista del film Black Panther (2018), si siano registrati oltre 7.7 milioni di like, segnando il nuovo record nella storia del social network. Così tanto amore per un artista che, impersonando il fiero re T’Challa, era diventato un simbolo di riscatto, ancor prima di George Floyd, il cui tragico assassinio per mano di un agente di polizia ha dato vita al movimento Black Lives Matter.
Con la sua interpretazione, Boseman è riuscito a far salire alla ribalta mondiale un personaggio dei fumetti sconosciuto ai più come Black Panther o, se si preferisce, Pantera Nera. Questo character della Marvel Comics, antesignano tra i supereroi di colore – Luke Cage avrebbe debuttato sei anni più tardi –, è stato creato da Stan Lee e Jack Kirby nel 1966 in piena contestazione, a riprova di come la cosiddetta “Casa delle idee” fosse brava già oltre cinquant’anni fa ad “annusare” l’aria che tira e a catturare nelle proprie storie lo spirito del tempo.
Stessa cosa succede ancora oggi con l’impressionante numero di blockbuster sfornati per il grande schermo dai Marvel Studios. Tra questi, ovviamente, il Black Panther diretto da Ryan Coogler, che in tutto il globo ha incassato oltre 1.3 miliardi di dollari, ottenendo anche la non scontata acclamazione della critica.

Il segreto di un successo

Non il norreno e biondissimo Thor, non il multimiliardario e “sciupafemmine” Tony Stark/Iron Man e nemmeno lo sfigatissimo Peter Parker/Spiderman o il patriottico Steve Rogers/Capitain America…
Al box office, il supereroe del Marvel Cinematic Universe che ha incassato di più è proprio Black Panther, superato unicamente dal mega franchise degli Avengers (in Endgame, primo assoluto e Infinity War, secondo, c’è anche T’Challa). La pellicola diretta da Coogler occupa il quinto posto nella classifica dei film della Casa delle Idee ma anche quello in assoluto nella chart all-time dei supereroi, ivi inclusi quelli dei personaggi della rivale Dc Comics, che deve accontentarsi dell’attuale ottavo posto di Aquaman.
In Black Panther, il carisma di Boseman si è sposato perfettamente con un personaggio complesso, ricco di fascinoso magnetismo come T’Challa, fiero re africano legato alle tradizioni pur governando nell’ultra-tecnologico Wakanda, un piccolo paese che ha deciso ponderatamente di tenere celati i suoi tesori minerari e lo sviluppo scientifico determinato dalla presenza del preziosissimo vibranio.
Ed eccolo qui il capolavoro: per la prima volta sul grande schermo, i rapporti di forza tra nazioni si ribalta.
L’Occidente industrializzato e all’avanguardia cede il posto e la ribalta ai wakandiani, temendoli e rispettandoli come mai capita ai popoli dell’Africa nella nostra spesso triste realtà. A ciò, si aggiungono elementi come i complessi rapporti tra le cinque tribù che compongono la popolazione del Wakanda – i riottosi Jabari guidati da Mbaku su tutti –, la consueta avidità di stampo coloniale nei confronti delle ricchezze sia avveniristiche che naturali del piccolo ma potentissimo stato africano, che per difendersi da possibili attacchi esterni ha deciso illo tempore di tenere celato il suo avanzamento tecnologico.
Ovviamente, non può mancare l’elemento mistico, con il fresco nominato re T’Challa seppellito nella terra rossa africana per raggiungere gli antenati sul Piano Ancestrale. Illuminanti e suggestive le sequenze degli incontri con il padre T’Chaka e le conversazioni sul “peso della corona” che avvengono in una prateria immersa in una sognante penombra e sotto un immaginifico cielo stellato al cospetto dell’albero genealogico degli “avi-pantera”.

Dramma familiare

A completare il “mosaico” è la segreta tragedia che coinvolge la famiglia di T’Challa e che ha prodotto il più terribile nemico del Wakanda: il principe N’Jadaka/Killer Monger, figlio di N’Jobu, riottoso fratello di T’Chaka, la cui morte segna l’inizio di un’esistenza intrisa di violenza e che finisce per contrapporre i due cugini in un inevitabile scontro per stabilire chi di loro può essere l’unica Black Panther degna della corona e dei poteri conferiti dall’Erba a forma di cuore. Anche in questo caso, emerge un’importante contrapposizione tra chi intende reagire al razzismo rispondendo ai soprusi con la violenza e chi, invece, intende superare le divisioni, scusate il gioco di parole, con la condivisione della conoscenza.

Il futuro del franchise

Un film eccellente per un eccellente Boseman, la cui improvvisa scomparsa ha suscitato un’ondata di sincero cordoglio in tutto il mondo e che consegna al mito imperituro il primo film su Black Panther. Chadwick avrebbe meritato di tornare a vestire il costume di quello che è diventato un supereroe centrale sulla scena dei cinecomics e non solo per motivi di rappresentanza razziale: c’è la storia ed è stata imbastita in maniera eccezionale, ci sono gli attori e i costumi, così come gli effetti speciali e l’azione. Completezza allo stato puro.
Intanto, i rumors su quale strada prenderà il seguito, il cui approdo nelle sale è previsto per il 2022, si susseguono: sarà un nuovo attore a impersonare il re del Wakanda oppure il testimone passerà a Shuri, sorella di T’Challa, interpretata magnificamente da Letitia Wright? Una scelta non facile per una saga che ha esordito con un successo straordinario e, soprattutto, meritato. RIP Chadwick.

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